Phastidio Podcast

Mario Seminerio
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Jul 11, 2020 • 26min

La settimana phastidiosa - 11 luglio 2020

Bonus a la playa: ennesima mancetta priva di analisi costi-benefici, servirà a poco e a pochi. In Italia, programmare razionalmente politiche pubbliche resta un'illusione; L'Antitrust italiano salta di livello ed ora si dedica a indagare dumping e concorrenza sleale tra paesi europei. Sempre e comunque a danno dell'Italia, ovviamente; Il miraggio della resilienza, la realtà di sussidi indiscriminati che sclerotizzano il mercato del lavoro, soprattutto in paesi come il nostro; La nuova Banca del Mezzogiorno secondo Carla Ruocco: non un carrozzone ma efficiente come una banca privata. Qualcosa ci sfugge, o forse no; La triste storia del paese che ingannò a morte se stesso, tra proiettili d'argento, pensiero magico e vittimismo. La realtà bussa? Ditele che nessuno è in casa; Ore perse: lockdown precoce, economia ad alta intensità di lavoro o entrambe le cose? Ripetete con me: sappiamo di non sapere; I Pantheon italiani sono ormai come il paese: grotteschi e deformi; Essere, avere o apparire? In Italia, soprattutto la terza opzione; La calunnia è un venticello; Tenetemi o faccio uno studio di fattibilità; È arrivato il tizio che impalla la camera, sospinto da un suo fido palafreniere;Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Jul 4, 2020 • 24min

La settimana phastidiosa - 4 luglio 2020

Le vie della spesa pubblica italiana sono infinite, come la fantasia di cui il nostro popolo, elettori ed eletti, è dotato. Peccato che le nostre risorse fiscali siano invece finite, in ogni senso; La rendicontazione come malattia esantematica del grillismo; Del resto, il MES pandemico è una diabolica trappola in cui il creditore non vede l'ora di perdere soldi; Meno concorrenza, agevolazione "involontaria" di mercati locali proni a collusione (oltre che ad infiltrazioni criminali), mano libera di firmare per i burocrati incapaci o corrotti, purché evitino il dolo. Ecco il "decreto semplificazioni"; Fenomenologia di Mariana Mazzucato e del suo stato investitore, frutto di una antica fascinazione per le oligarchie industriali-militari, e che finisce a microgestire i sussidi per le imprese; Non esistono atei nelle trincee né liberisti dopo una pandemia. Somiglianze e diversità tra governi di due paesi prostrati dal virus. Tra New Deal e Piani Marshall, la realtà giudicherà; Spagna e Regno Unito hanno pressione fiscale relativamente bassa, quindi potrebbero reggere più spesa per welfare. A patto che la qualità di spesa e imposte non sia "italiana"; I gabellieri della copia perduta; Il lavoro straordinario diventa ordinario e "diritto acquisito"? Manicomio Italia: nascono le aziende nazionalizzate figlie del mercato; Con la sola imposizione delle chiacchiere: edifici scolastici dismessi ma pronti ed agibili per metà settembre; "'Bboni, state 'bboni": fare i virologi e diventare virali; Troppe idee portano alla paralisi: indovinate chi è l'unico paese a non aver ancora inviato a Bruxelles il programma nazionale di riforme;Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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May 7, 2020 • 28min

Da Maastricht a Karlsruhe, sola andata?

La sentenza della Corte costituzionale federale tedesca è un evento che potrebbe causare movimenti di faglia in tutta Europa, su più livelli. Chiedendo a parlamento e governo tedesco di verificare la persistenza della "proporzionalità" delle azioni della Bce dall'inizio del QE, la corte di Karlsruhe ha soprattutto gettato un guanto di sfida alla Corte di Giustizia Ue, accusata di aver avallato, a fine 2018, il PSPP sulla base di motivazioni pressoché inesistenti e senza aver realizzato alcun test dell'esistenza di tale proporzionalità. In pratica, quindi, mostrandosi supina ed acquiescente all'Eurotower.Di certo la durata del programma di acquisti rappresenta un problema visto che, anche prima della pandemia, il QE era ormai divenuto una componente stabile del panorama della politica monetaria dell'Eurozona. La sentenza non riguarda il programma anti pandemia PEPP ma è del tutto evidente il contrario, in termini politici e di mercato. Non sappiamo ancora come si strutturerà la "interlocuzione", e per mano di quali soggetti. La Bce pare non risponderà direttamente ad una corte costituzionale nazionale, e potrebbe delegare a ciò la Bundesbank, che a sua volta dovrebbe presentarsi davanti al parlamento tedesco. Dopo di che, come verrà valutata la risposta ottenuta? Già questo è sufficiente a causare un forte aumento di incertezza e causare sonni problematici a quanti, in Italia, si erano già messi in tasca un PEPP raddoppiato ed oltre, per assorbire tutte l'emissione extra di debito. Suscita perplessità, semmai, che i giudici costituzionali tedeschi vogliano il test di proporzionalità degli effetti di politica monetaria richiamandosi agli impatti dei tassi su remunerazione dei risparmiatori, banche, assicurazioni, mantenimento in vita di aziende zombie e così via. Ovvio che la politica monetaria abbia "effetti collaterali" che spesso non sono neppure da considerare tali. Ragionando come i giudici tedeschi, ogni corte costituzionale nazionale potrebbe aver da dire degli effetti di un rialzo dei tassi, e così via. Ma questa sentenza svela quello che sappiamo da tempo: non solo aziende zombie ma anche il rischio di un paese zombie. La "questione italiana" è ormai l'elefante nella stanza. Verosimile che stia crescendo il numero di paesi le cui opinioni pubbliche pensano che con l'Italia i conti vadano regolati con una ristrutturazione del nostro debito pubblico. Un Grande Reset, e si riparte.Poi ci sono gli effetti centrifughi causati sull'ordinamento Ue da una simile sfida di una corte costituzionale nazionale alla Corte di Giustizia Ue: paesi come Ungheria e Polonia, che menano vanto di essere ossimoriche "democrazie illiberali", troveranno forza da questo pronunciamento. Certo, questo potrebbe essere anche obiettivo strategico dei sovranisti-nazionalisti di vari paesi: una grande implosione e decostruzione della Ue, vista da qualcuno come opportunità per tornare a valute nazionali. I teorici italiani di questa "rivoluzione" sono facilmente identificabili, anche se fin qui si sono limitati a giocare nelle loro bolle social e non hanno dovuto affrontare controlli sui movimenti di capitale, bancomat spenti, moti di piazza. Anche perché, a dirla tutta, i loro leader non paiono aver esattamente gli attributi per pilotare eventi cataclismici di questo tipo. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Mar 17, 2020 • 18min

Il dito Lagarde e la luna della nostra stagnazione

La premessa: l'errore di comunicazione della presidente della Bce è ovvio, evidente, palmare, inescusabile, anche se (volendo) lo si potrebbe giustificare con argomentazioni legali e legalistiche. Il punto vero è che un banchiere centrale, quando parla, fa forward guidance, cioè manda messaggi ai mercati, che di conseguenza reagiscono. Ma non si può tacere l'evidenza, e cioè che l'Italia arriva debilitata a questo violentissimo shock esogeno, che la sventura ha voluto fosse su di noi ancora più violento. Debilitata dalla propria struttura demografica e da politiche economiche disfunzionali. Che accadrebbe, se l'Italia perdesse l'accesso ai mercati? Due opzioni: la richiesta di aiuti a bassa condizionalità (per shock esogeno) alla Ue, oppure il ricorso al risparmio domestico, in senso lato che a breve vi spiegherò. Nel primo caso, i creditori potrebbero comunque voler agire sulle condizioni, identificando gli ambiti in cui quel denaro potrebbe essere sborsato. Volete un esempio? Sì a spesa sanitaria e sociale di sostegno a chi perde il lavoro, no a sussidi per tenere in vita Alitalia. So che i più nazionalisti tra voi riterranno semplicemente irricevibile questa condizione, vedendola come una intollerabile ingerenza esterna negli affari del paese ma mettetevi il cuore in pace: non esistono risorse illimitate, per nessuno, e se ti sei messo all'angolo è difficile che tu possa decidere entità e tipologia di eventuali aiuti esterni. Purtroppo, invece, una mentalità "no limits" che appiccica alla realtà l'etichetta di neoliberismo, ci ha portato sin qui, ed un carattere nazionale improntato al vittimismo fa il resto. Altra conseguenza di questa crisi, a livello globale, sarà il massiccio intervento pubblico a sostegno del settore privato, ovunque. Fatale che ciò accada, ma col vincolo di realtà che le risorse fiscali scarse dei singoli paesi verrano utilizzate per puntellare realtà private che, prima della crisi, mostravano di essere funzionanti e funzionali al sistema paese. In questo caso, l'ingresso pubblico nel capitale garantirà ritorni ai contribuenti.. L'Italia, invece (potete scommetterci), sceglierà altro, e darà la colpa dell'impossibilità di questo "altro" allo Straniero ed a complotti contro di noi. Con queste premesse, la resa dei conti è garantita. In alternativa a finanziare il debito con prestiti erogati da organismi sovranazionali con condizionalità blanda (sempre che accettino, per i motivi sopra descritti), avremo davanti l'opzione di mobilitare risparmio privato, spostandolo da investimenti esteri o sin qui parcheggiato in liquidità. Magari agevolato fiscalmente e di tipo perpetuo (cioè irredimibile), in modo da non entrare nelle metriche di debito. Qui saremmo nell'ambito della repressione finanziaria ancora blanda. Ma intervento sul risparmio privato vuol dire anche patrimoniale straordinaria, per evitare di dover ristrutturare il debito pubblico. Circostanza, quest'ultima, che sul paese avrebbe l'effetto di una guerra e comporterebbe necessità di aiuti esterni in modalità "guai ai vinti".Questo è lo scenario che vedo, con o senza le sciocche ed incaute parole della presidente della Bce, la cui palese inadeguatezza al ruolo non posso che confermare. Attenzione, quindi, al dito ed alla luna. Lagarde è il dito, la nostra incapacità a crescere è la luna. Per tutto il resto, ci sono i truffatori che vi dicono che non esistono tradeoff, e che si può avere burro ed anche cannoni, se solo si inventa la stampante (tradizionale o 3D) perfetta.  Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Feb 18, 2020 • 18min

Arriva la recessione e non ho nulla da mettermi

Dopo i pessimi dati del Pil giapponese del quarto trimestre 2019, causati ancora una volta da un improvvido rialzo dell'imposta sui consumi, e malgrado un sistema di cashback simile a quello che molti vorrebbero introdurre da noi per indorare la pillola di aumenti Iva, si dà per scontato che il paese del Sol Levante entrerà in recessione questo trimestre, anche per gli effetti della gelata prodotta da guerre commerciali e Coronavirus.Nel frattempo, il presidente della Fed si unisce al coro di governatori di banche centrali che chiedono ai governi uno stimolo fiscale, perché la politica monetaria da sola non ce la fa più. Detto da chi è alla guida di una banca centrale che dista oltre un punto percentuale e mezzo dal tasso zero fa un certo effetto, ma l'effetto aumenta quando ci si rende conto che gli Usa sono già in espansione fiscale, visto che lo stimolo di Donald Trump è stato calato su un'economia già al pieno impiego e quest'anno il rapporto deficit-Pil statunitense sarà intorno al 5%, il più elevato non in tempo di recessione; roba da far leccare le orecchie agli europei ed ai tossici da deficit italiani. Ecco, gli italiani. Il paese è stabilmente in coda alle previsioni della cosiddetta crescita europea, con distacco crescente. Lustri di ricette economiche sbagliate non sono trascorsi invano. O forse sì, perché quando anche noi finiremo ufficialmente in recessione, tra un paio di mesi, ci sentiremo ripetere dai quattro angoli dello schieramento politico che "è ora di finirla con l'austerità". Tutto molto bello, se non fosse che la posizione fiscale italiana è espansiva ormai da parecchi anni, quindi l'austerità non esiste ed i risultati li abbiamo sotto gli occhi. Del resto, avrete visto le pacche sulle spalle ed il trenino per il +0,1% di PIl stimato dal reddito di cittadinanza, che però costa lo 0,3%, no? Oppure la sortita da Barone di Munchhausen di chi voleva aumentare l'occupazione aumentando gli inattivi mediante pensionamenti, ricordate anche quello? Che fare, quindi? Non saprei, perché questo è un dissesto culturale prima che economico. In maggioranza pro tempore c'è un'Armata Brancaleone la cui missione è quella di eradicare dalle nostre lande il liberismo con tante b, a colpi di tassa e spendi e redistribuzione dell'impoverimento. All'opposizione c'è un personaggio che ormai fa quasi tenerezza, pugile suonato dalle proprie coazioni a ripetere: "non vogliamo uscire dalla Ue e dall'euro", ma "se non otterremo ciò che vogliamo, meglio fare come gli inglesi" (sic), Ma soprattutto, quando si arriva al dunque e si deve affrontare la realtà a mani nude, il nostro eroe fugge di notte per poter tornare a promettere burro, cannoni e cannoli e sfogliare la margherita. Io uscirei, non uscirei, ma se vuoi. La tragedia è che ancora in molti lo ascoltano, così come ascoltano la banda dei "redistributori" sinistrati neomovimentisti, morsi da uno zombie a 5 stelle e che stanno diventando come lui. Zoologicamente, resto indeciso tra le rane di Fedro (che bollono in pentola) ed i capponi di Renzo. Ma tutto questo stucchevole wrestling tra fazioni dello stesso fallimento porta da una sola parte. Inutile che vi dica quale.  Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Feb 3, 2020 • 20min

Redistribuire l'impoverimento: le grandi riforme italiane in direzione ostinata e contraria

"Abbiamo salvato il paese dalla bancarotta, evitando gli aumenti Iva", è lo stralunato mantra del segretario del Pd, peraltro in affollata compagnia. Ottimo, ora quindi possiamo fare aumentare l'Iva (nel paese primatista europeo di evasione Iva), ripetono altri esponenti del medesimo partito, alla ricerca di coperture per l'epocale riforma Irpef che hanno in mente, oltre che per affrontare l'immutato problema di aumenti Iva nel 2021. Se siete confusi, siamo con voi. Ma nei giorni scorsi sono stati resi noti i suggerimenti del Fondo Monetario internazionale al nostro paese, e di alcuni di essi non c'era traccia sulla nostra stampa. Ad esempio, non ho trovato traccia del reiterato suggerimento di spostare la contrattazione collettiva a livello di azienda, per riallineare produttività e retribuzione, oltre che i differenziali locali nel costo della vita, fissando quindi in questo contesto un salario minimo che è naturale complemento al decentramento della contrattazione. E che magari andrebbe integrato da uno strumento di sostegno ai working poor come l'EITC. Invece, da noi si discute di salario minimo come grida manzoniana per innalzare i salari in un contesto di contrattazione collettiva che resta nazionale. Sarà interessante vedere che accadrà in Spagna, dove il nuovo governo di sinistra punta ad un percorso esattamente opposto, cioè a ri-centralizzare la contrattazione collettiva, che era stata decentrata con la riforma del 2012. Ancora: il FMI loda ma critica l'esile riduzione del cuneo fiscale prodotta dal bonus 100 euro, che non riuscirà neppure a scalfire il differenziale a noi sfavorevole con la media europea. Forse perché prima si innalza la produttività e poi la si redistribuisce, mentre da noi il mainstream punta a redistribuire e vedere se in tal modo ci solleviamo da terra tirandoci per le stringhe col magico moltiplicatore. Che fare, quindi? Per il FMI allargare la base imponibile sfoltendo e riducendo drasticamente le tax expenditures per ridurre le aliquote nominali e le distorsioni da esse causate e trovare le coperture. La direzione opposta a quella di un paese che ha ucciso l'Irpef a colpi di imposte sostitutive e tax expenditures, per vincere l'elezione successiva. Lodi e critiche anche per le misure di attenuazione della povertà, col reddito di cittadinanza troppo alto rispetto alle prassi degli altri paesi, e che di conseguenza disincentiva l'offerta di lavoro, anche attraverso eccessiva penalizzazione per chi trova un lavoro temporaneo. La scala di equivalenza familiare è troppo schiacciata, quindi le famiglie numerose sono fortemente penalizzate. Ma questo è semplicemente il frutto della scarsità di risorse e dell'elevata soglia minima individuale del reddito, e lo sappiamo da sempre. Insomma, difficile sfuggire all'impressione che le grandi riforme "progressiste" dell'attuale maggioranza aggravino il problema anziché avviarne la soluzione. Nell'anno in cui l'Italia rischia di pagare cari alcuni shock esterni già visibili (vedi orrido dato di Pil del quarto trimestre) il rischio è quello di redistribuire l'impoverimento.Agli antropologi del futuro il compito di studiare il mistero (ridicolo anziché buffo) del paese i cui governi pro tempore annunciano sempre epocali riduzioni di tasse, salvo scoprire che la pressione fiscale resta stabile o tende ad aumentare.Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Jan 17, 2020 • 16min

Sigillate quel confine

In Italia abbiamo una certezza: ogni legislatura ha il suo tentativo di produrre una nuova legge elettorale, costruita in modo sartoriale per premiare la coalizione pro tempore al governo, o più spesso per penalizzare l'opposizione, e destinata ad essere affondata dal voto degli elettori. La legge elettorale spesso è la matrice che deve produrre governi stabilissimi ed in grado di distillare le pozioni miracolose che porteranno alla rinascita economica. Tali pozioni tendono ad essere differenziate per schieramenti, tra destra e sinistra, ma entrambe fanno leva sul feticcio del moltiplicatore keynesiano. Per la destra è soprattutto il taglio di tasse in deficit, destinato a moltiplicare la crescita e ripagarsi con gli interessi; per la sinistra è un'apparente maggiore "rettitudine fiscale", nel senso di minore deficit ma prodotto con un policy mix fatto di più spesa pubblica, quella rigorosamente "ad alto moltiplicatore", e più tasse, meglio se del tipo finalizzato a "punire" qualcuno. Quando i risultati tardano a materializzarsi, o meglio prendono le fattezze di una desolante stagnazione, ecco il nuovo impulso a cercare sempre maggiori risorse. Negli ultimi anni ci si è concentrati sull'elevata propensione degli italiani per la liquidità, cercando di indurli a spendere  con blandizie o minacce. Ora, sempre più, i nostri intellettuali da quotidiano, che ogni giorno si fronteggiano con nuove meravigliose idee per spianare il Turchino, si stanno orientando ad identificare il colpevole di tutto: la possibilità di diversificare i propri investimenti all'estero. Si moltiplicano quindi i "suggerimenti" a trattenere, con le buone o le cattive, i risparmi entro i confini nazionali, mettendo in discussione la libera circolazione dei capitali. Ma non solo. Come punire le imprese, che trovandosi di fronte un paese vieppiù inospitale ed oneroso, decidono di delocalizzare? Con un bella tassa di uscita, perché no? Scordando che diverrebbe automaticamente tassa di entrata, aggravando la desertificazione. Ma ormai il filone è aperto: attendiamoci anche delle exit tax per gli italiani che decidono di cercare all'estero quelle opportunità lavorative e professionali che stanno scomparendo qui da noi, a titolo di rimborso delle risorse fiscali destinate a istruzione e formazione. Sigillate quel confine, quindi: né capitali né persone vi escano. Fermate il mondo, gli italiani vogliono scendere. Un'aspirazione nordcoreana che, per l'ennesima volta, cerca la scorciatoia all'eclatante fallimento di un sistema-paese. Non attrarre capitali ma impedirne la fuoriuscita. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Jan 7, 2020 • 16min

Italiani, i più produttivi nell'autoinganno

Dopo la "proposta" della neo-premier finlandese, Sanna Marin, di ridurre l'orario di lavoro a 24 ore settimanali su quattro giorni a retribuzione invariata, immancabili sono giunte le entusiastiche reazioni di approvazione dall'Italia. Per l'occasione, sono state rispolverate proposte che ricalcano la gestione delle crisi d'impresa e la solidarietà "difensiva" è stata trasformata in "espansiva". Come segno dei tempi, nel paese dove la produttività stagna o si contrae da molto tempo, e che quindi sta preparandosi un gramo avvenire, la riduzione dell'orario di lavoro è presentata in chiave "produttivistica", e non di sottrazione del plusvalore ai capitalisti, per dirla col barbuto di Treviri. Lavorare meno per essere più "produttivi"? Ma da noi il problema più grave non è la bassa produttività ma la mancata comprensione del significato del termine. In troppi sono convinti che produttività sia sinonimo di sfruttamento e cottimizzazione. Oppure si crede che produttività sia quella cosa che sgorga dalla pur necessaria conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Partiamo dalle basi: produttività è la sintesi di efficacia ed efficienza di un sistema economico nel combinare capitale, lavoro, tecnologia e istituzioni (scolastiche, educative, legali, amministrative). Data l’interpretazione italiana del concetto, quindi, non stupisce che al centro del nostro dibattito stiano personaggi folkloristici che pensano che, riducendo l'orario di lavoro, potremmo avere un'esplosione di occupati. La madre del modello superfisso è sempre incinta, dopo tutto. La strada? Prima si accresce il valore aggiunto di un sistema economico ed in seguito lo si redistribuisce, anche attraverso riduzioni dell'orario di lavoro a compenso invariato. Ancora una volta, l'ennesima, gli italiani cercano scorciatoie a questioni esistenziali nella vita di una comunità nazionale. Siamo e restiamo ineguagliati nell'arte dell'autoinganno. Aumentare drasticamente il costo del lavoro serve a ridurre l'occupazione e a spingerla verso il sommerso, non ad innalzare il valore aggiunto del sistema, che si forma in processi di lungo periodo, letteralmente generazionali, per i quali serve serietà nel perseguimento di un modello di sviluppo. Ma serietà ed italiani sono termini ormai mutuamente esclusivi.  Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Dec 19, 2019 • 15min

Si fa presto a dire educazione finanziaria

Dopo l'ultimo (in ordine cronologico) episodio di misselling, cioè di vendita di titoli non idonei al profilo di rischio ed alle conoscenze del risparmiatore (il caso della Popolare Bari), e dopo la comparsa della figura mediatica della risparmiatrice truffata a sua insaputa e che tuttavia ha scordato di applicare il buonsenso e di non mettere tutte o quasi le uova nello stesso paniere, si moltiplica l'invocazione alla taumaturgica "educazione finanziaria". Siamo sicuri che la soluzione sia davvero questa? Non fraintendetemi: io sono del tutto favorevole alla promozione dell'educazione finanziaria. Ma in un paese così desolatamente ignorante e funzionalmente analfabeta, credere che una non meglio definita "alfabetizzazione finanziaria", ammesso e non concesso di capire chi e come debba assumere il ruolo di docente, riuscirà a ridurre l'ineliminabile asimmetria informativa tra chi colloca strumenti di risparmio e chi investe in essi rischia di essere velleitario. Tra scandali e botte di populismo con invocazione di "punizioni esemplari", il rischio è quello di cadere nella solita ipernormazione all'italiana, con leggi che impongono sempre maggiori adempimenti formali e formalistici, o magari si spingono ad obbligare alla diversificazione, ad esempio vietando di investire più di una piccola percentuale in strumenti emessi dalla propria banca (vedrete che qualcuno proporrà anche questo). Malgrado ciò, continueremo ad avere "analfabeti finanziari" felici di esserlo sin quando rende, salvo trasformarsi in vittime di truffe odiose appena le cose vanno male ed autocertificare il proprio status di analfabeta finanziario invocando immancabili "ristori" che, visti i tempi della giustizia, vengono sostituiti da erogazioni pubbliche. Per questo dico: ben venga l'educazione finanziaria ma non facciamoci illusioni. Soprattutto in un paese come questo, dove si privatizzano i profitti e socializzano le perdite in modo compulsivo. A me basterebbe che si sapesse che mettere tutte le uova nello stesso paniere non è mai idea intelligente, e lo si ripetesse ogni giorno davanti allo specchio. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.
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Dec 10, 2019 • 15min

Anche in Italia piangeremo sul liquido versato. In conto

L'anno nuovo porterà anche in Italia, come già accade in ampia parte d'Europa, rendimenti negativi di conto corrente. Non nella forma di tasso nominale negativo bensì di una serie di balzelli commissionali dalle più fantasiose denominazioni, come la vivace creatività delle banche consentirà. Futile pensare di sfuggire a questa situazione: qualsiasi banca (o fintech) destinataria di fiumi di liquidità perché non applica commissioni, sarebbe alla fine costretta ad alzare il ponte levatoio. Oltre alla corrosione che i tassi negativi della Bce esercitano sul conto economico delle banche, in atto ormai da un lustro e di cui non si vede la fine, un'ulteriore importante fonte di onerosità è data dai fondi interbancari di garanzia e tutela dei depositanti; soprattutto nel nostro paese, destinati a giocare un ruolo sempre più rilevante nei "salvataggi di sistema". In soldoni? Raffiche di modifiche unilaterali dei rapporti di conto, a cui la legge consente di rispondere con l'arma spuntata del recesso, perché un rapporto di conto serve comunque, e la tendenza a scaricare i crescenti oneri di sistema sui clienti è fenomeno del tutto comprensibile, perché le banche non sono Onlus. Banche che offriranno sempre più propri prodotti ad elevata marginalità (tradotto: costosi per il cliente), come gestioni patrimoniali e polizze a contenuto finanziario. Quasi sempre fatte con gestione attiva, che sta prendendo ceffoni senza sosta dagli strumenti passivi e low cost. Se state aspettando di vedere anche da noi mutui a tasso negativo, potreste essere delusi: potremmo in realtà avere ritocchi all'insù ai tassi praticati sui prestiti, concessi secondo criteri sempre più restrittivi. Ecco perché, quando sentite esecrare le banche perché "pensano solo a tagliare i costi, soprattutto del personale, e non ad aumentare i ricavi", pensate che '"aumentare i ricavi" di solito vuol dire mettere le mani in tasca ai clienti, offrendo loro prodotti molto costosi e giocando sull'asimmetria informativa che deriva anche dalla mediamente scarsa alfabetizzazione economica e finanziaria. Per usare una delicata perifrasi. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/phastidio-podcast--4672101/support.

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