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La sera del 9 ottobre 1963 uno tsunami di milioni di metri cubi d’acqua, provocato dalla caduta di una valanga in un bacino idroelettrico, si abbatte su una valle al confine tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, cancellando il paese di Longarone e provocando più di 1.900 morti. Da quella notte di autunno, la tragedia del Vajont è diventata simbolo dell’«ingegnerizzazione della natura», delle trasformazioni che l’uomo impone all’ecosistema fino a comprometterne gli equilibri. Sessant’anni dopo, l’acqua è al centro dell’emergenza climatica. L’“oro blu” è un bene che scarseggia, il cui valore continua ad aumentare vertiginosamente e su cui si appuntano le pulsioni speculative di un paradigma di sviluppo rovinoso: un paradigma che si alimenta di catastrofi e che mette in conto mille, altri possibili “Vajonts”. Al plurale.
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