C’è un vecchio aneddoto secondo cui Charles de Gaulle, fondatore della Quinta Repubblica francese, un giorno sbottò dicendo: «Come si può governare un Paese con 246 tipi di formaggio?». Era una battuta, ma anche una profezia. Perché, più di sessant’anni dopo, la Francia sembra di nuovo ingovernabile. Non per colpa del formaggio, ma perché non esiste più una maggioranza stabile, i governi si susseguono a ritmo frenetico e Parigi vive in una sospensione collettiva, dove la politica paralizza l’economia e la fiducia si sgretola giorno dopo giorno. Oggi in Francia non si parla d’altro. Forse perché quella in corso è la crisi politica più profonda della Quinta Repubblica… O forse perché è diventata una condizione permanente. La scena politica è frammentata come non mai e, intanto, il bilancio 2026 resta un’incognita, Standard & Poor’s ha declassato il rating e Bruxelles guarda con crescente inquietudine un partner che per decenni è stato uno dei pilastri dell’equilibrio europeo. È un passaggio temporaneo o l’inizio di una nuova normalità francese? E soprattutto… Quanto ci costa davvero questa crisi? Lo chiediamo a Eric Albert, giornalista economico di Le Monde.


