Nell’epoca postnazista è rimasta salda l’idea che sia legittimo decidere con chi coabitare. La xenofobia populista trova qui il suo punto di forza, il razzismo il suo trampolino. Ma la condizione politico-esistenziale di ciascuno è ormai l’esilio planetario. A renderla perspicua è lo straniero che apre le porte di una città dove l’ospitalità è indispensabile. Riconoscere la precedenza dell’altro nel luogo in cui è dato abitare vuol dire aprirsi non solo a un’etica della prossimità, ma anche a una politica della coabitazione. Il “con-” implicato nel coabitare va inteso nel suo senso più ampio e profondo che, oltre a partecipazione, indica anche simultaneità. Non si tratta di un rigido stare l’uno accanto all’altro. In un mondo attraversato dal concorrere di tanti esili coabitare, significa condividere la prossimità spaziale in una convergenza temporale dove il passato di ciascuno possa articolarsi nel presente comune in vista di un comune futuro.