Come altre specie animali, che costruiscono tane, nidi, rifugi, anche l’uomo costruisce “case” con cui proteggersi da intemperie, da nemici di altre specie e da altre società, persino dalla propria società. Le case degli esseri umani – così diverse per materiali e forme – si collocano entro due poli: la socialità più ampia da un lato e l’intimità più spinta dall’altro. La socialità, a cui l’essere umano è condannato, è fonte di risorse e nello stesso tempo di stress, insidie e pericoli: i nemici non vengono soltanto da fuori, possono nascere anche da dentro. È per questo che gli esseri umani ricercano sfere di intimità in cui rifugiarsi. Ma l’intimità, a sua volta, può essere una trappola mortale, un luogo che attira e da cui occorre rifuggire. In questo dibattersi tra socialità e intimità, tra esterno e interno, tra scambio e appropriazione, possiamo intravedere uno dei significati dell’abitare umano, oscillante tra il sostare “qui” e l’andare “altrove”.
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