“Cammino dunque sono”. Non appaia irriverente il mutare il celebre aforisma cartesiano (Cogito ergo sum) attribuendo al camminare il potere di accrescere in chi l’adotti la consapevolezza di essere al mondo. Il pensiero filosofico non ha mai cessato di occuparsi di riflettere sul divenire, sul tempo scandito dai passi, sul dirigersi verso una meta o errando infaticabilmente alla sua ricerca. Già Platone la riteneva una saggia pratica da coltivare, feconda per l’educazione a ragionar di sé. L’atto del camminare si rivela dunque, ancora una volta, una grande metafora filosofica della condizione umana. Dove la strada, il sentiero, la sosta, gli incontri, si fanno simboli variabili del nostro rapporto meditativo e pensoso, o viceversa distratto e irriflessivo, con le cose e gli altri. Ci scopriamo così socratici nel piacere di conversare passeggiando; pellegrinanti nel raggiungere luoghi santi o memorabili; vagabondi romantici: con Goethe, Rousseau, Thoreau… se è il contatto con la natura che andiamo cercando.