Potenti simboli dell’alterità sono disseminati in tutta l’opera di Conrad e, se è vero che tutta l’umanità, di fronte alle questioni ultime, può dirsi simile, ciò non toglie che all’interno di ogni singolo individuo (di ogni altro), ci sia un confine oltre il quale nulla è prevedibile, dove una tenebra fitta, come quella di una foresta tropicale, si stende sulla luce della ragione e sulle pretese della civiltà. Quella di Conrad è dunque, nella sua più intima essenza, una superba galleria di individui, scolpiti nella loro irripetibile singolarità. L’incontro di razze e culture diverse può generare mirabili paradossi come quello del racconto Karain, del 1897, dove i bianchi finiscono per comportarsi come veri e propri stregoni mentre il fiero pirata asiatico, una specie di Sandokan privo del suo Yanez, patisce del più occidentale e borghese dei mali: la depressione. Letture di Fabrizio Gifuni e commento di Emanuele Trevi.
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