Parole che offendono, feriscono, esprimono odio. Ne siamo circondati, nella comunicazione pubblica e privata, in ogni registro linguistico, in ogni contesto. Entrano, grazie ai social media, nella nostra vita privata con prepotenza. Odiatori seriali, agitatori politici, speculatori mediatici: dividere è diventato un affare per molti, un prodotto con cui cambiare le nostre abitudini. Si va dall’odio esplicito fatto di insulti contro donne, bambini, migranti, neri, omosessuali, disabili, studenti, a un odio più raffinato, fatto di vittimismo e retorica. C’è chi si diverte, chi ci guadagna, chi soffre in silenzio (le vittime), chi si gira dall’altra parte. Ma anche chi prova a opporsi con strumenti come l’indignazione, le leggi, la costruzione di un dialogo reale. Chi propone parole che costruiscano ponti, che uniscano su valori e diritti condivisi. Parole altre, per restituirci contenuti che sembrano smarriti. Parole che guardino lontano, parole alte.