Il welfare non è solo una spesa improduttiva. Al contrario è, o può essere, uno strumento di investimento sociale e umano. Per questo sarebbe opportuno (ri)pensarlo nell’ottica dei beni comuni, da un lato rafforzando la dimensione di cittadinanza equa, dall’altro sviluppando un’idea di pubblico che non coincida esclusivamente con statale. Il welfare come responsabilità anche dei cittadini, non solo come onesti contribuenti, ma come attivi partecipanti alla sua costruzione. Si tratta sì di valorizzare le forme tradizionali del volontariato e del Terzo settore, ma anche di sviluppare una concezione e una pratica di cittadinanza attiva. La partecipazione si realizza sia sul piano politico e sindacale, sia nella co-costruzione e manutenzione di servizi, nell’auto-mutuo aiuto, nella circolazione di competenze. Questa partecipazione non può certo sostituire il welfare garantito dallo Stato, ma può integrarlo sul piano pratico e dell’ideazione, facendo circolare e mettendo in comune risorse umane e materiali.
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