Grandi e piccole malattie accompagnano la nostra vita e ne diventano compagne temporanee, durature, intermittenti. Parlano di noi, della padronanza dei nostri movimenti, del ritmo del nostro cuore, dell’acutezza della nostra visione, del tono del nostro umore, dei vincoli della nostra sessualità. Fanno parte della vita ma ci costringono a confessarci vulnerabili e mortali. Una diagnosi è sempre un’occasione di conoscenza di sé – il passato dell’anamnesi, il futuro della prognosi – e della propria vita che cambia, in peggio o in meglio. Davvero, come scrive Virginia Woolf, la malattia è il nostro «grande confessionale»? Ha ragione Kafka a dire che «nella malattia rivelo tutto il mio essere»? Come conviviamo con le nostre malattie? Quali fragilità, speranze, illusioni portano con sé? Come ci sentiamo nelle mani di un medico? In poche parole, a quali meccanismi psicologici ci affidiamo quando una diagnosi medica è in arrivo o è in agguato? Quando, dice Joan Didion, «una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita»?