Il carcere può essere considerato una casa in cui si “abita”? La letteratura classica sulle istituzioni penitenziarie pone l’accento sulla netta distinzione tra lo spazio fuori e lo spazio dentro: ostile, anonimo, impersonale; il tempo dentro: sospeso, improduttivo, eterno. Recentemente però, ricercatori e ricercatrici hanno esplorato una serie di carceri in un certo senso “addomesticate”. Le loro analisi, a partire dall’esperienza delle persone recluse, saranno l’oggetto di un viaggio “nel ventre della bestia” come è stato definito nel famoso libro di Jack Abbott, in cui sbarre, cancelli e immobilità non sono più le componenti principali ed essenziali per definire l’incarcerazione, favorendo una nuova comprensione dell’esclusione e dell’isolamento.